La costruzione del Palazzo Ducale di Pavullo
15 luglio 1814 – Francesco IV prende possesso del Ducato di Modena, assegnatogli dal Congresso di Vienna
Prologo
15 luglio 1814: le potenze vincitrici delle guerre napoloniche avviano, con il Congresso di Vienna, il processo di “restaurazione” che porterà al ripristino degli stati e delle monarchie “assolute” precedenti la rivoluzione francese. Il Ducato di Modena e Reggio verrà assegnato a Francesco IV del casato Asburgo-Lorena.
Il duca Francesco IV intervenne nell’amministrazione dello stato con azioni tese a modificare l’assetto amministrativo che si era venuto a creare sotto il dominio napoleonico. Furono creati nuovi distrettie gli antichi comuni rurali, già in decadenza sotto i governi napoleonici, furono riaccorpati come sezioni di comuni più grandi.
Il nuovo Comune di Pavullo, il più importante del Frignano, venne nominato comune di secondo rango con decreto del 29 dicembre 1815 e vi furono unite una trentina di comunità.
II duca decise di trasferire a Pavullo la sede del tribunale e delle carceri, in precedenza posti a Montecuccolo cancellando i vecchi centri di potere politico e giurisdizionale e gettando le basi per fare di Pavullo il capoluogo della montagna.
La scelta e le conseguenti iniziative in campo edilizio prese dal duca diedero un inaspettato impulso allo sviluppo urbanistico di Pavullo, il cui centro, apparso così misero ai visitatori del inizio del secolo, prese nuova forma e un aspetto sempre più moderno, quasi cittadino, come rilevarono i viaggiatori dell’epoca nei loro resoconti di viaggio.
L’attuale centro storico di Pavullo è costituito in gran parte da edifici fatti costruire da Francesco IV e in misura minore da
Francesco V, i due duchi succedutisi dal 1814 al 1859; Il Municipio, il Palazzo Ducale con i tre edifici che lo contornano, il Parco, la fontana del Canone, l’antica chiesa parrocchiale ingrandita, la chiesa e il convento dei Cappuccini.
26 aprile 1816 – avvio dei lavori per la costruzione delle carceri e della caserma dei Dragoni.
Le prime costruzioni
Non esistevano a Pavullo edifici adatti ad ospitare gli organismi che Francesco IV aveva deciso di istituirvi, pertanto già nel 1816 si iniziò la costruzione di due nuovi palazzi nella zona nord lungo la Via Giardini, uno ad uso di tribunale (giusdicenza) e di carcere e l’altro adibito a caserma dei Dragoni e a granaio per il ricovero di granaglie e canapa.
I lavori furono avviati il 29 aprile 1816 sotto la di direzione degli ingegneri Sigismondo Ferrari e Battista Pelloni, che, come prima disposizione, decisero di recuperare, “tra le macerie del diroccato castello di Monteobizzo”, i sassi battuti ancora utilizzabili. Furono impiegati nei due cantieri 137 operai, che lavorarono sotto la sorveglianza di due assistenti, Antonio Montanari di Renno e Giuseppe Ricci di Gaiato.
Sospensione dei lavori
Nell’estate di quello stesso anno, quando l’edificio della giusdicenza aveva raggiunto appena il primo piano, i lavori vennero inaspettatamente sospesi. La comunità vide svanire d’un tratto l’occasione di lavoro in un periodo di grave penuria, determinata dall’inclemenza del clima di quell’anno terribile che fu il 1816.
Il podestà Grandi inviò una supplica allarmata al duca chiedendo che i lavori riprendessero per il bene della popolazione, ma anche dei fabbricati che, non portati a termine, avrebbero sofferto i danni dell’imminente cattiva stagione. Il duca rispose favorevolmente, assegnando ai lavori la somma di L. 1000.
La carestia del 1816
Il 1816 fu un anno di grande carestia: i contadini europei e nordamericani attesero invano la primavera e l’estate. Il freddo e le brinate si protrassero per vari mesi, danneggiando le colture; in luglio nevicò e i raccolti dei cereali andarono irrimediabilmente perduti.
L’inverno precoce, poi, affossò ogni speranza di rimedio e andò compromessa la maturazione delle castagne, un elemento fondamentale dell’alimentazione in molte regioni montane come il Frignano.
Nell’aprile del 1815 la spaventosa eruzione del vulcano indonesiano Tambora aveva lanciato nell’atmosfera una nube di materiale che, spostandosi e giungendo l’anno successivo sopra il nostro emisfero, impedì ai raggi solari di riscaldare la terra, provocando in America e in Europa un inaspettato e deleterio mutamento di clima.
Anche nella montagna modenese il 1816 fu “l’anno senza estate”. Il persistente freddo e l’arrivo precoce dell’inverno con abbondanti nevicate e una grave carestia colpì le popolazioni già da tempo provate da calamità, miseria, denutrizione e stenti.
La carestia si fece drammatica nel 1817, seminando la morte ovunque. Il numero dei decessi in quell’anno aumentò in modo esponenziale. Nei registri parrocchiali le cause vengono indicate con espressioni diverse, ma dal medesimo tragico significato: uomini e donne di qualsiasi età e condizione sociale, poveri e ricchi, morirono “per stento e languore”, “per male di stento”, “colpito da languidezza”, “per fame”, “per malattia famatoria”.
Nel 1815 il governo aveva proibito l’esportazione di riso, di fave e di legumi secchi e nello stesso tempo aveva procurato all’estero grandi quantità di farina di grano e di frumentone da distribuire gratuitamente a coloro che rischiavano di morire di stenti.
Tra i provvedimenti governativi in agricoltura fu importante la decisione di incentivare la coltivazione della patata, “un alimento”, come si legge in un decreto ducale del febbraio 1817, “tanto utile pel nutrimento dei popoli”, ma ancora poco conosciuto e apprezzato non solo nel Frignano, ma nel resto dell’Europa“.
Completamento dei lavori
Nel 1818 il clima ritornò normale, i raccolti fortunatamente abbondanti posero fine alle estreme avversità degli anni precedenti
A Pavullo occasioni di lavoro erano offerte dalla costruzione degli edifici voluti da Francesco IV, la giusdicenza e la caserma, che nel 1818 erano quasi ultimati. Il duca in quell’anno decretò la chiusura del tribunali di Montecuccolo, di Polinago e di Monfestino, trasferendone le funzioni nel 1819 in quello unico di Pavullo.
Nel nel 1819, per correggere la situazione delle strade e delle piazze, anche nell’imminenza del viaggio dell’imperatore d’Austria col suo numeroso seguito, il Comune emanò un piano teso a rinnovare e ammodernare il paese. Tutte le strade e i vicoli furono selciati e provvisti delle fogne occorrenti per lo scolo delle acque, fu loro data una denominazione e la relativa targa apposta agli angoli delle case
1821 – avvio dei lavori per la costruzione del Palazzo Comunale.
Il duca aveva acquistato nel territorio di Pavullo varie proprietà tra cui i poderi della Galeotta, di Ca’ d’Agnino, di Mediana e il casale di San Pellegrino”. Francesco IV venne a soggiornare di frequente a Pavullo, sempre accolto da festeggiamenti, doppi di campane, fuochi accesi sui colli circostanti, luminarie in paese e spari di mortaretti, ed ebbe modo di apprezzarne le caratteristiche, tanto che già nel 1815 in occasione di una delle prime visite ordinò la costruzione di una prima abitazione da utilizzare come residenza estiva della corte.
L’interesse dimostrato da Francesco per le condizioni della montagna, i provvedimenti presi per il suo sviluppo e le elargizioni effettuate in occasione delle carestie, gli procurarono popolarità da parte della popolazione; anche a questo atteggiamento si deve probabilmente il fatto che i moti del 1821 e del 1831 ebbero a Pavullo deboli ripercussioni.
Lo sviluppo urbanistico di Pavullo negli anni Venti dell’800 fu intenso: l’aspetto del paese si presentò via via sempre più moderno. La Via Giardini fiancheggiata da nuove case e palazzi stava diventando la nuova strada residenziale, prendendo il posto della Via del Mercato.
Nel 1821 la Comunità progettò la costruzione di un nuovo palazzo per la sede del Comune. Il nuovo municipio doveva ospitare, oltre gli uffici comunali, quelli del Campioniere del Censo, del Comandante della Compagnia Urbana, il locale della Scuola Pubblica, la stanza del portiere, il locale per l’Orologio Pubblico e quello per l’Archivio Notarile.
Il progetto della nuova Casa comunale venne affidato all’ing. Gian Battista Pelloni da tempo impegnato a Pavullo nella costruzione del tribunale e della caserma. L’ingegnere elaborò due progetti che mediante il governatore della Provincia di Modena vennero presentati al duca per la scelta: “Ci facciamo coraggio di ricorrere all’Eccellenza Vostra … le rassegniamo e di supplicare l’adorato Monarca a degnarsi di fare la scelta in discorso”.
Il duca apprezzò molto l’atto di sottomissione della Comunità, come fece sapere nella sua risposta: “Si è la lodata Altezza Sua Reale degnata di esternare il suo Sovrano aggradimento pel praticato atto di sommissione e mi ha commesso di significare che ne lascia la scelta definitiva a codesta Comunità”.
La costruzione iniziò nella primavera del 1822 e il Consiglio tentò di tutto per portare a termine l’opera in breve tempo. Il costo, però, si rivelò superiore alle previsioni e, a causa delle difficoltà nel reperire il denaro necessario, i lavori procedettero a rilento.
Nel 1830 il Palazzo comunale era finalmente in via di ultimazione e già appariva con le caratteristiche che avevano ideato l’ingegnere e il Consiglio.
1828 – avvio dei lavori per la costruzione del Palazzo Ducale.
Furono molte le visite del duca a Pavullo. Così avvenne il 28 luglio del 1828, quando tra l’altro visitò la sede del tribunale complimentandosi con l’allora giusdicente dottor Pietro Fattori. In quell’occasione, fermatosi in paese, “si degnò di intervenire ad una teatrale rappresentazione data da una compagnia comica qui recitante”.
Il duca infine decise di farsi costruire un vero e proprio palazzo, affidando il disegno all’ing. Sante Cavani, professore di Architettura all’Università di Modena. Nel 1829 allora l’ingegner Ferrari fu incaricato di individuare il sito più idoneo e che potesse soddisfare i desideri del sovrano.
Il duca, infatti, aveva dato alcune indicazioni in merito alla scelta del luogo: “il costo non troppo elevato, la salubrità dell’aria, l’amenità della vista, il facile accesso ai terreni ducali, in particolare al bosco del Bago con un terreno spazioso intorno tale da potervi ricavare un giardinetto inglese, e la vicinanza alla chiesa parrocchiale e alla Via Giardini”.
Il Ferrari nella sua dettagliata comunicazione metteva in luce vantaggi e svantaggi di ognuna delle località esaminate e alla fine ne ‘consigliava due: la casa Lollini in piazza e la località verso la Torricella.
La scelta del duca, invece, cadde sul terreno prossimo ai due edifici del tribunale e della caserma dei Dragoni, di cui il Ferrari aveva indicato molti aspetti negativi, tra cui “la vicinanza alla strada Giardini, la lontananza dalla chiesa, la vista di mezzogiorno impedita dai fabbricati del paese, esposizione al settentrione e quindi alle maggiori bufere“.
Nel giugno del 1830 il duca dava le disposizioni per lo scavo delle fondamenta. L’ing. Sigismondo Ferrari fu nominato direttore dei lavori e in questa funzione si mise alla ricerca dei migliori materiali, la cui scelta fu dettata da esigenze di funzionalità e di estetica.
In un rapporto dettagliato il Ferrari dava il resoconto di risultati ottenuti dopo la sua nomina. Con l’aiuto di esperti scalpellini e del capomastro aveva individuato nei pressi del sito scelto per il Palazzo “una cava di ottimo sasso, di bellissimo colore, di facile lavorazione”. Aveva assistito alla cottura di una fornace di mattoni “e sono riusciti così buoni da non aver bisogno di prenderli in pianura e ciò produce un vistoso risparmio”.
Durante lo sbanco era sgorgata una “sorgente abbondante di acqua dove cade il muro anteriore”, che l’ingegnere progettava far confluire nel pozzo del Palazzo.
Posa della prima pietra
La posa della prima pietra fu fissata al primo giorno di novembre. La prima parte della funzione si tenne in chiesa con una messa cantata celebrata dal prevosto di Pavullo, don Michele Cerri, alla presenza del podestà, marchese Federico Montecuccoli degli Erri, di tutto il Consiglio comunale, del direttore dei lavori ing, Ferrari e del capomastro muratore Bartolomeo Bonatti di Riolunato”
Dopo il canto del salmo le autorità e il popolo processionalmente raggiunsero il piazzale antistante il futuro Palazzo le cui fondamenta erano già state scavate. Qui era stato innalzato un busto del duca, guardato notte e giorno dai soldati per evitare atti di vandalismo (si era allora nel periodo dei moti carbonari).
Dopo la benedizioni di rito e le consuete formalità si procedette alla cerimonia con la posa delle pietre angolari a cura del prevosto don Cerri, del podestà e dell’ing. Ferrari.
Oltre agli operai locali lavorarono alla costruzione anche detenuti delle prigioni di Monfestino e di Pavullo, ricompensati in denaro e con una riduzione della pena. I primi furono alloggiati in locali appositamente adattati della caserma dei Dragoni.
La costruzione del Reale Palazzo andò avanti a sussulti a causa di problemi di varia natura che via via si presentarono e per le spese sempre superiori alle previsioni.
Già il mese dopo la cerimonia l’ing. Ferrari comunicava di aver finito la somma messagli a disposizione per il 1830 e chiedeva un ulteriore stanziamento per continuare i lavori “onde dar lavoro alla classe indigente durante l’inverno” e garantire così agli operai “il pagamento regolare delle loro mercedi”
I lavori furono per breve tempo sospesi a causa dei moti del febbraio 1831 e del momentaneo cambiamento di governo dopo la fuga del duca da Modena.
Il moto di Ciro Menotti del febbraio 1831 ebbe qualche debole risonanza a Pavullo, dove alcuni simpatizzanti del movimento liberale, tra cui due amministratori comunali, il dottor Domenico Ferrari di Renno e l’avvocato Giuseppe Gianelli, si fecero mediatori tra le autorità costituite e un gruppo di rivoltosi diretti alla caserma di Pavullo per impossessarsi delle armi.
Un gruppo di pavullesi manifestò la propria gioia davanti al Palazzo comunale, inalberandovi il tricolore.
Vi furono varie pressioni sulle nuove autorità affinché i lavori venissero rapidamente ripresi, perché ciò avrebbe offerto a molti “miserabili operai” la possibilità di guadagnare per sé e per le loro famigli di che vivere e nello stesso tempo, “sottoposti alle fatiche”, non avrebbero avuto il tempo di “ascoltare seminatori di zizzania politica“.
In effetti, dopo un periodo di sospensione dovuto anche alla mancanza di fondi del governo provvisorio, i lavori nel maggio successivo ripresero.
L’ing. Sigismondo Ferrari, messosi in luce nella repressione del moto di Modena, ebbe un significativo aumento
delle incombenze, per cui chiese più volte di essere affiancato dall’ing. Clemente Poppi.
Oltre alla direzione della costruzione del Palazzo Ducale, infatti, gli era stata assegnata anche quella di altri lavori in montagna (ponti di Valdisasso, di Olina, di Strettara e di Talbignano, diverse strade a Fanano, Sestola, Montefiorino e Monfestino).
Sospensione dei lavori.
Dopo aver portato i muri all’altezza del piano terra, come progettato, e dopo aver creato un pozzo dove convogliare le acque sgorganti, per decreto ducale i lavori furono sospesi: nel 1833 il cantiere era fermo e le casse vuote.
Nel 1834 scoppiò il caso della cosiddetta congiura Mattioli, in cui furono coinvolti diversi eminenti uomini di Pavullo, già messisi in luce nei fatti del 1831, il dottor Domenico Ferrari, l’avvocato Giuseppe Gianelli e il contabile dell’amministrazione Cristoforo Pezzini.
I clamorosi arresti avvenuti a Pavullo e le trame insurrezionali contro lo Stato di cui furono accusati i presunti congiurati fecero temere ai pavullesi di aver perso il favore del duca.
Il timore di un “raffreddamento del Regale Benefattore”, nonostante fosse evidente che “l’infernale trama” era opera di singole persone e non della comunità, era talmente diffuso che l’amministrazione nel 1835 pensò di inviare al duca una propria delegazione per ribadire direttamente che “questi abitanti di certo mai smentirono quella divozione, fedeltà e retaggio verso il migliore fra i Regnanti” e supplicarono il duca di concedere un’udienza alla delegazione, di cui avrebbe fatto parte il professor Marco Antonio Parenti, come garante dei sentimenti dei pavullesi verso il sovrano.
l segretario del duca rispose che il duca, “appresa la determinazione della Comunità di umiliare per mezzo di alcuni suoi rappresentanti i sentimenti di una affezione, sudditanza e gratitudine verso l’Augusta Persona della stessa Altezza Sua Reale”, grato e soddisfatto dispensò l’Amministrazione di Pavullo dall’inviare la delegazione.
Ripresa dei lavori
Dopo un momentaneo arresto, i lavori, ancora fermi alle fondamenta dei “muri di cinta”, ripresero nell’estate del 1835, avendo il duca messo a disposizione mille franchi. La direzione dei lavori fu affidata all’ing. Antonio Vandelli, sotto ingegnere del Governo provinciale di Modena; nell’autunno di quell’anno i lavori erano però di nuovo fermi
Direzione dei lavori affidata ad Armodio Cavedoni
Nel 1838 al Vandelli subentrò l’ing. Armodio Cavedoni, capitano dei Cacciatori del Frignano in Pavullo, sotto la cui direzione l’opera fu finalmente la costruzione del palazzo fi portata a termine; il duca seguì in prima persona la costruzione con frequenti visite in loco e con una fittissima corrispondenza con il |nuovo responsabile, il quale scrupolosamente gli sottoponeva tutti i problemi che via via si presentavano relativamente alla struttura, ai materiali, alle spese e alla manodopera
Si ebbe una nuova interruzione nel 1841, quando “per mancanza del materiale cotto a Pavullo” l’opera fu sospesa. i muratori e i manovali furono impiegati nello scavo delle fondamenta delle due fabbriche già ordinate dal duca, la scuderia e la rimessa, che avrebbero dovuto sorgere a nord del Palazzo simmetriche a quelle già esistenti della caserma e del tribunale
Delle due solo quella oltre la Via Giardini, di fronte al Palazzo, adibita a scuderia, verrà costruita. I lavori del palazzo ripresero nella primavera del 1841 e portati a termine nei due anni successivi.
Nel maggio del 1844 il Cavedoni comunicava che dovevano essere sistemate la terrazza posteriore, le quattro colonne sulla Via Giardini all’imboccatura delle due strade di accesso e la scala esterna che dalla stessa Via Giardini “monta al Piazzale”
Francesco IV il primo maggio 1843 si portò a Pavullo con il fratello arciduca Massimiliano e insieme visitarono tutti i fabbricati fatti erigere in quegli anni, il nuovo reale Palazzo, i reali giardini, “il luogo dove per sua benignità si costruirà una ghiacciaia per comodo suo e del paese”, gli uffici della giusdicenza, il quartiere dei reali Dragoni, le fariniere“
Nell’ottobre dello stesso anno giunsero a Pavullo il duca Francesco, il principe ereditario con la consorte, la principessa Adelgonda, che si dimostrò molto soddisfatta e contenta per la bellezza del Palazzo reale e per l’amenità della vista.
1844 – inaugurazione del Palazzo Ducale
Il Palazzo, semplice nella struttura e nelle linee fu inaugurato nell’autunno del 1844 e in quella occasione si organizzarono luminarie mai viste e uno straordinario spettacolo di mortaretti.
All’interno del Palazzo vi era una cappella dove si poteva celebrare messa, secondo la licenza concessa nel 1847 da papa Gregorio XVI.
Il cantiere del Palazzo Ducale fu un’irripetibile occasione di lavoro per operai e artigiani locali: fa legnami, fabbri, cavatori, scalpellini, muratori, vetturali, corrieri, osti, locandieri, apparatori.
Il duca volle circondare la sua residenza montana con un vasto giardino e a questo scopo acquistò i terreni limitrofi necessari.
Realizzazione del parco
Il parco, come oggi viene chiamato, fu realizzato nello stile all’inglese allora di moda secondo un progetto del tedesco Karl Hiller, giardiniere ducale alla corte di Modena fin dal 1815.
Le piante autoctone furono affiancate da essenze esotiche originarie di tutti i continenti, acquistate in vivai locali e nazionali, come il maestoso Cedro del Libano, cedri dell’Himalaya e dell’Atlante, le sequoie, la sofora giapponese, le robinie, l’albero di Giuda e molte altre, tra cui alcune andate perdute come i salici di Babilonia e le robinie americane.
All’interno del giardino sul lato destro del grande prato che sta dietro al Palazzo si apre una galleria scavata nella roccia, che portava gli incantati visitatori ad immergersi in una natura in contaminata così cara allo spirito romantico dell’epoca e a provare stupore, ammirando l’imponenza del fitto bosco del versante opposto e ascoltando il dolce gorgoglio delle acque del sottostante rio Bago.
Il Parco risultò una complessa e vasta opera che comprendeva boschi lungo le rive del Cogorno e del Bago, con pini silvestri, abeti e larici, praterie per la produzione di foraggio e prati tra cui quello ricavato davanti al Palazzo stesso mediante un riporto di terreno e particolarmente curato in occasione delle visite della famiglia reale. In mezzo al verde dei boschi e dei prati spiccava il Palazzo.
Costruzione della ghiacciaia
Nei pressi del Palazzo fu costruita infine una ghiacciaia. Di essa si hanno notizie fin dal 1843, anno in cui il duca e altri della corte visitarono il luogo dove stava per essere costruita.
Dai pochi documenti che ci rimangono apprendiamo che la ghiacciaia veniva riempita di neve, ben pigiata e annaffiata abbondantemente con acqua in modo che gelandosi trasformasse in un blocco di ghiaccio durevole e compatto.
Un documento del 1853 tramanda che “sei ragazzi colle brocche portano continuamente dell’acqua, così facendo viene ben stricca e gelando iene tutta un masso”.
Francesco V nel 1846, appena salito al trono, donò la ghiacciaia alla Comunità di Pavullo, in cambio “dell’impegno a tenerla costantemente provvista di ghiaccio non solo per gli usi del paese, ma anche per qualsiasi urgente necessità della Corte. Quanto al rimanente il Comune avrebbe potuto vendere ghiaccio e neve a chiunque ne avesse fatto richiesta”
Conclusioni
La permanenza della famiglia ducale e dei suoi illustri ospiti dava inoltre Pavullo un prestigio indiscutibile. Soggiornarono a Pavullo, ospiti della famiglia ducale, molti regnanti e membri delle famiglie nobili di tutta Europa.
Nel marzo del 1842 si celebrarono le nozze del principe ereditario Francesco con Adelgonda di Baviera. Marco Antonio Parenti celebrò l’avvenimento in alcune stanze poetiche, inneggiando all’attenzione che la Casa d’Austria Este aveva rivolto negli ultimi decenni al Frignano e specialmente a Pavullo e alle opere ivi realizzate.
La predilezione della corte per la montagna modenese si concretizzò nel 1832, quando con decreto del 30 marzo il duca decise di ripristinare l’antica Provincia del Frignano.
Pavullo, diventatone capoluogo e sede del delegato governativo, ricevette il raro privilegio di poter inserire nello stemma l’antico simbolo del medioevale Comune Federale del Frignano, cui si aggiunse il motto PRISCA FIDES (Fedeltà Antica), a sottolineare la fedeltà del Frignano alla Casa d’Este
Vennero così eliminate le immagini dei santi Lazzaro e Bartolomeo, che fino ad allora avevano campeggiato nell’emblema di Pavullo.
Il 21 gennaio 1846 moriva a Modena Francesco IV e subentrava al trono il figlio con il nome di Francesco V.
Francesco V regno per pochi anni e fu l’ultimo monarca del Ducato di Modena. L’11 giugno 1859 Francesco V partiva per l’esilio, ponendo fine al Ducato di Modena, il cui territorio fu dapprima annesso al regno di Sardegna con i plebisciti del marzo 1860, quindi unito al Regno d’Italia proclamato nel 1861.
Perso il ruolo di capoluogo della soppressa Provincia del Frignano, da quel momento iniziò per Pavullo una nuova storia, non più movimentata dagli eventi straordinari dell’ultima epoca ducale.
Riferimenti bibliografici
- Andrea Pini, Memorie ritrovate di Pavullo nel Frignano, Ed. Adelmo Iaccheri 2014