A volte, quando la mattina apriamo gli occhi abbiamo la netta sensazione che il sogno che ha accompagnato il nostro sonno sia stato bello: non possediamo il suo ricordo, ma un alone lontano. Questo basta per renderlo vivido e farci provare benessere: forse c’era una strada, o era una casa, non lo sappiamo. Nessuno, però, può contraddire il fatto che fosse proprio un bel sogno.
E quella bellezza rimane dentro di noi. Di ciò che avviene durante un sogno esistono altre caratteristiche singolari. Mischiamo elementi reali di quello che abbiamo fatto e vissuto elevandoli alla potenza di un presagio: crediamo cioè che il sogno possa influenzare o in qualche modo predire qualcosa del nostro futuro.
Da un paio d’anni ho preso l’abitudine di fare attenzione al periodo in cui ricordo un sogno ed ho notato una sorta di ciclicità: almeno per 3-4 notti al mese riesco a ricordare benissimo ciò che ho sognato. Poi più nulla fino al mese successivo. Una mia amica mi dice che lei ha cominciato a ricordare i suoi sogni da qualche mese, prima mai riuscita. Mia figlia, all’età di tre anni, mi raccontò il suo sogno: dentro un’automobile, sui sedili posteriori si trovava lei immersa dentro l’acqua come se ci fosse una piscina e davanti c’ero io che guidavo. Era felice quando lo ha raccontato. Oggi mia figlia ha sei anni, non mi ha mai più raccontato un sogno e ovviamente non ricorda il suo. Sono io la sua memoria.
Ed arriviamo alla svolta. Il rapporto tra sogno e ricordo: ricordo del sogno e il ricordo che aiuta a costruire il sogno. Legame interessante, ma difficile da districare. Siamo su un piano filosofico, la scienza è messa da parte volutamente. Sogniamo sempre, ma ricordiamo solo pochi sogni. Perché? E forse siamo noi che in qualche modo scegliamo i sogni da ricordare?
Lascio queste domante senza risposta, ma aspetto le vostre.
So un’altra cosa. I sogni che ricordo diventano dei rompicapo: penso ossessivamente al loro significato, ho l’impressione che la soluzione sia vicina, ma quando la sto per prendere mi sfugge. A volte ci riesco però. E scopro che per capire il senso del mio sogno dovevo solo accettare una parte profonda di me stessa, che invece solitamente tendo a nascondere ben bene.
Daniel Pennac quando aveva dieci anni cominciò a trascrivere in un diario tutti i suoi sogni. Oggi Daniel Pennac ha 75 anni e mantiene ancora intatta la sua abitudine.
Potremmo cominciare anche noi: annotare i sogni su un taccuino e vedere cosa succede.
A proposito: voi ricordate i vostri sogni?